Leggendo casualmente qua e là alcune cose sul referendum (legge 40), mi sono arrestato di fronte a tre perplessità, che ritengo semplicemente dovute alla mia incapacità di comprendere appieno i pensieri dei grandi pensatori. Per la verità, si tratta di perplessità relative alla logica del ragionamento, non alla bioetica, argomento che non mi appassiona e che non intendo approfondire.
Prima perplessità.
Sul Corriere della Sera del 16 Maggio scorso, Emanuele Severino, filosofo ed Accademico dei Lincei, grande meditatore sulle umane cose e non solo su quelle - si vede dalla fronte spaziosa e dall’aria severa della foto - , cerca di spiegare i concetti di capacità potenziale e di unitarietà. Ma, forse, è stato troppo conciso.
Scrive: "Un uomo può nascere solo se, prima di esso, esiste qualcosa che ha la capacità (o «potenza») di diventare uomo. Si badi: qualcosa di unitario".
Di tale postulato, però, non fornisce il perché. Ora, non me la sento di prenderlo come dogma, solo perché detto da un grande filosofo.
Per chiarire, aggiunge: "Una statua può essere prodotta solo se, prima di esserlo, esiste, poniamo, un blocco di marmo capace di diventare una statua (per opera dello scultore). Se il blocco fosse in frantumi, nessuno di essi, e nemmeno il loro insieme, avrebbe la capacità di diventare quella statua. Per produrre quella statua bisogna che le parti del blocco non siano frantumi, ma unite; ossia, bisogna che il blocco sia qualcosa
di unitario".
Ripeto, non c’entra con l’embrione o col referendum, ma solo con la mia ignoranza. Io non sono sicuro che il blocco di marmo dell’esempio sia un qualcosa di unitario: il mio professore, già negli anni ’50, mi parlava
di molecole, complicatissime nel caso di certi minerali; poi di atomi, poi di particelle subatomiche, eccetera.
Mi pare che lo stesso ragionamento porti a dire che, per costruire una casa, occorra che ci sia prima una casetta più piccola. Al mio paese, usano, invece, tante cose diverse: mattoni, calce, cemento e via discorrendo. Insomma, il concetto di unitarietà, così come illustrato dal filosofo, non mi
convince. E, se non mi convince la premessa maggiore, è inutile che continui la lettura dell’articolo. Ma, usando un ossimoro, la mia limitazione mentale è illimitata.
Seconda perplessità.
Sul Corriere della Sera del 29 Maggio scorso, Giovanni Sartori, grande saggio, docente, giornalista, filosofo, storico e quant’altro, col suo stile godibilissimo ed apparentemente scanzonato, scrive: "Grosso modo (ci sono eccezioni) per la Chiesa e per la fede l’uomo è caratterizzato dall’anima, e l’ «anima razionale», per dirla con San Tommaso, arriva tardi, non certo con il concepimento. Invece, per la filosofia, o per la riflessione razionale, l’uomo è caratterizzato dalla ragione, dalla autocoscienza o quanto meno da stati mentali e psicologici coscienti. Per Locke, per esempio, la persona è «un essere consapevole di sé», e «senza coscienza non c’è persona» (Saggio, II, 27)."
Per quel poco che ricordo dell’Aquinate e di Locke, mi pare che nessuno dei due fosse biologo, per cui prendo le loro opinioni scientifiche con le molle.
Poi, il vivace professor Sartori spiega quale sia la differenza tra il suo embrione e lui: "Se io fossi stato ucciso in embrione io non me ne sarei accorto e nemmeno avrei sofferto; invece io come persona umana so che dovrò morire e forse soffrire. E il discorso serio, l’argomento logico, è questo: che se un embrione sarà una persona, ancora non lo è come
embrione."
Santi numi, fatemi capire: se non soffro e non me ne accorgo, non sono uomo. A parte il fatto che non so se l’embrione non soffra, non so se la formica non soffra, non so se l’ameba non soffra, eccetera, mi viene in mente il consiglio del mio vecchio professore di filosofia: per vedere se un ragionamento è giusto o meno, bisogna portarlo alle estreme conseguenze. Allora, dato che se non me ne accorgo e se non soffro non sono persona, ne ricavo che se, a mia insaputa, mi addormentano, mi potranno poi tagliare impunemente la testa, non essendo più persona. Sicuramente, nel ragionamento mi è sfuggito qualcosa, perché io alla mia testa, anche se vuota, ci tengo.
Terza perplessità.
Dalle parole dell’ottimo Sartori, si ricava che l’embrione riveste caratteri di unitarietà. Dice: "Nessuno contesta che l’embrione sia vita. Un sasso non ha vita; ma tutto ciò che nasce, si sviluppa e muore, è vita."
Ma tale caratteristica di unitarietà fa a pugni con quanto sostenuto dal filosofo Severino, che ritiene l’embrione privo del requisito dell’unitarietà, necessario per svilupparsi e morire.
In materia, ho una gran confusione in testa e mi dispiace molto non essere riuscito ad afferrare appieno i concetti espressi da due grandi pensatori.
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